Catania 31 marzo 2010
“Bene, bene… e tu?”
“Tutto ok!”
“Non ho molto tempo adesso, ma sentiamoci… magari ci prendiamo un caffè insieme”.
Quante volte vi è capitato d’uscire e incontrare un amico, magari qualcuno che non vedete da molto tempo, aver voglia di fermarvi a parlare ma guardare le lancette dell’orologio e notare che quelle stanno organizzandosi per venir fuori e infilzarvi per bene, giusto per essere più incisive nel ricordarvi che siete in ritardo?
In stramaledettissimo ritardo!
Io odio questi incontri.
Questi incontri fanno male all’umanità.
Lo so che credete che sono esagerata. Ma non è così, giuro.
Ve lo spiego.
Quando incontri qualcuno è cortesia fermarsi un attimo a dare un saluto. E’ cortesia non fare l’egocentrico e chiedergli quantomeno come sta.
Quello, che è di fretta anche lui (oggi tutti siamo di fretta), sa che non potrà fermarsi a conversare piacevolmente con te. Oppure se non ha fretta ha capito che la fretta ce l’hai tu e ha anche lui notato la sommossa armata delle lancette del tuo orologio (uno su due ha sempre fretta, oggi. Se vivi a Milano due su due hanno sempre fretta).
Detto questo, per non inoltrarsi in prolisse conversazioni tendenti all’infinito e oltre (per dirla con Buzz Lightyear) gli esseri umani operano una semplificazione straordinaria delle risposte.
“Come stai?”
“Bene, Bene”
“Come stai?”
“Non c’è male”
“Come stai?”
“Tutto ok”
E’ chiaro che se uno rispondesse diversamente la conversazione subirebbe una dilatazione temporale ragguardevole e impossibile da gestire senza l’assetto anti sommossa per lancette. E uno non è che se ne va normalmente in giro in assetto antisommossa. Per cui, ogni volta che incontri qualcuno, quello ti risponderà che sta bene e tu te ne andrai pensando che lui sta bene e tu no. Che lui ha una vita felice e tu no. Se il tempo è un po’ meno tiranno tu e l’amico riuscirete a scambiare qualche parola in più.
E sarà peggio.
Perché se uno ha un po’ più di tempo, ma non abbastanza, opererà comunque una banalizzazione delle risposte tendente sempre al positivo.
La discussione andrà più o meno così:
“Come stai?”
“Bene bene”.
“Che mi racconti di nuovo?”
“Mi sono sposata, ho una bambina bellissima e da poco lavoro in una compagnia d’assicurazioni”.
“E tu?”
“Non c’è male, ho ripreso a studiare, mi vedo con una persona e tra poco cambio casa”.
“Bene, m’ha fatto piacere incontrarti. Devo scappare che devo andare a prendere la bambina, sai… è da mia madre”
“Ha fatto tanto piacere anche a me, magari uno di questi giorni ci prendiamo un caffè”
“Lasciami il tuo numero che non ce l’ho più”
“349 ** ** ***”
“Ti chiamo in settimana”
Tale conversazione, realmente avvenuta qualche giorno fa tra me e una vecchia collega, mi ha lasciato con l’amara considerazione che lei avesse una bella vita, un matrimonio, una figlia, un lavoro… mentre io niente di tutto questo! Non che io voglia sposarmi, né avere una figlia, almeno non ora. Bah… magari un lavoro si, anche ora.
Per fortuna tale conversazione ieri ha avuto dei “piacevoli” sviluppi.
Driiiiin
“Pronto?”
“Ehi, ciao Silvia, sono M. ti disturbo?”
“No, che piacere sentirti!”
“Ti chiamavo per quel caffè, ricordi?”
“Certo! Dove sei?”
“Sono in centro”
“Ti raggiungo”
Ed ecco come è andata la conversazione, senza la tirannia del tempo, senza l’orologio con le lancette pronte alla sanguinaria rivoluzione:
“E allora, come stai?”
“Mah… ti dicevo… ho questa bambina bellissima, ha tre anni, solo che ultimamente mi preoccupa”
“Perché?”
“Non saprei, quando le do i colori, per disegnare, usa sempre il nero… magari tu, che hai studiato psicologia, potresti aiutarmi a capirci qualcosa in più…”
“Magari c’è qualcosa che non va. In famiglia tutto ok?”
“Quale famiglia? Noi viviamo da sole!”
“E tuo marito?”
“Ci siamo lasciati un anno fa, un matrimonio da schifo, sempre a litigare. E anche ora non riusciamo a trovare un accordo praticamente su nulla”
“E del tuo nuovo lavoro che mi dici?”
“Lavoro? Che parolone! Quello è schiavismo. Mi pagano 800 euro per otto ore di lavoro. Niente ferie. Niente permessi. Se la bambina ha la febbre diventa una tragedia! Ma dai… lasciamo perdere, parliamo di te piuttosto, mi è sembrato avessi grandi novità! Mi dicevi che hai ripreso a studiare, che stai per cambiare casa e hai una nuova relazione…”
“Già cambio casa e riprendo a studiare perché m’hanno licenziata in tronco e la casa non me la posso più permettere”
“Ahia, mi dispiace. Va bene dai, hai un nuovo fidanzato però…”
“Fidanzato? Bah non lo definirei così…”
“E come lo definiresti?”
“Nuovo non si sa cosa”
“Ah…”
“Signore, scusate, cosa vi porto? Caffè, cappuccino?”
“Ci porti pure una bottiglia di Jack. E due bicchieri. Senza ghiaccio però!!!”.
Io odio gli incontri fugaci. Odio i “bene bene” ipocriti. E li perdono solo perché spesso l’ipocrisia non è della persona che ti dice “bene bene”. Perché se uno è preso in ostaggio dal tempo non può rispondere “male male” che poi il tempo per spiegare perché tutto va “male male” non ce l’ha.
“Invitate chiunque a raccontarvi la sua storia. Se ne troverete uno solo che non abbia più volte maledetto la propria vita, che non abbia spesso creduto d’essere il più infelice degli uomini, gettatemi in mare a testa in giù” diceva saggiamente Voltaire. E lo sapeva che non sarebbe morto annegato, ché nessuno avrebbe avuto il coraggio di buttarlo in mare a testa in giù. Solo che Voltaire non aveva considerato il fattore T, e presupponeva che tutti avessero tempo a sufficienza per raccontare la loro storia.
Per questo gli incontri fugaci fanno male all’umanità, perché tu lasci l’amico che ha fatto l’apparizione da fantasma e te ne vai spaventato come se l’avessi visto davvero il fantasma. Si, il fantasma della felicità non tua.
Perciò, ecco, da domani chi mi incontra non dovrà rimanerci male se mi fermo ad uno scarno “ciao”, se non gli chiedo come sta. E se non ha tempo di fermarsi per un caffè che non me lo chieda nemmeno lui come sto. Che poi va a finire che uno va al bar da solo e chiede giusto un bicchier d’acqua (e, se non gli è venuta la gastrite psicosomatica, al massimo un caffè).
E lo sanno tutti che chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere (cit. C. Baudelaire).
Silvia.
Ricordi gli incontri fatti a Milano?
RispondiEliminaahahhaahhahahah
scusa rido da solo...io vorrei incotrarti per farmi offrire una granita di caffè...quanto la desidero!!!
L'ho sempre sostenuto che Baudelaire era un genio.
RispondiEliminaE anche tu lo sei.
O&L
@ Porinaio: tu avrai tutte le granite di caffè che vuoi. Ho veramente tanta voglia di riabbracciarti!
RispondiElimina"Ciao, come stai? - Tutto bene, e tu? - Tutto bene."
RispondiEliminaNon si tratta di domande e risposte reali, ma di convenzioni sociali. Sono nove parole riassumibili in un semplice "ciao". Ma per improvvisarsi gentili si ripete il copione ad ogni incontro. Che poi "improvvisarsi gentili" è un eufemismo per non dire che siamo degli ipocriti belli e buoni, che di come sta quella persona non ce ne frega una cippa o non avremmo aspettato l'incontro casuale per chiederglielo. E infatti, quando ci accennerà della sua vita, non saremo felici per le sue vittorie, ma infelici per le nostre mancanze. Quindi è meglio limitarsi ad un saluto generico, come dici tu, che il tempo scorre. Non chiedetemi come sto, piuttosto buttatemi a mare a testa in giù.
Un bacio sorellina!
Silvia hai ragione si devono eliminare queste risposte di facciata...almeno noi siciliani ci differenziamo in questo alla domanda come stai? si risponde "CA SEMU"!!!!!!
RispondiEliminaQuesto post, divertente ma dal retrogusto amaro esprime una verità semplice: siamo tutti troppo presi da noi, dalle cose che dobbiamo fare, dal tempo tiranno per fermarci a bere un caffè con un amico e condividere un malessere. Eppure da quella condivisione potremmo avere grande giovamento. A volte basta davvero così poco per sentirsi meglio.
RispondiEliminaP.S. Ma avete davvero bevuto Jack per colazione? eheheh
@ Katy: Oddio no! E' rimasta solo una battuta!!! :)
RispondiEliminaLa sera di annozero ho incontrato un ex compagno di scuola, che non vedevo da circa 15 anni,visto che ora lavora a Napoli, ci siamo raccontati le nostre vite in pochi minuti e poi ci siamo scambiati tutti i nostri recapiti telefonici. io gli ho però detto: " Ale, fai pure, ma tanto io non ti chiamerò mai, perchè questi incontri mi fanno tristezza ".
RispondiEliminaMa forse è meglio ripensarci e mandare una mail ? che ne dite
@Carmela: Una mail può andare più che bene. L'importante è che si abbia tempo e voglia di raccontarsi davvero, di non operare semplificazioni fuorvianti... altrimenti l'altro penserà sempre di essere uno sfigato. E questo è quello che avviene tra due conoscenti. Ma tra due amici, o meglio, tra due che amici lo sono stati è meglio condividere!
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