lunedì 22 marzo 2010

Io e Nonnino. Quando Regan non fa scuola.

Catania 22 marzo 2010


"Silviettina non è che per caso (per un puro, stramaledettissimo, fortuito caso) hai visto in giro le chiavi del nonno?"
"No Mammina, no lo so dove sono!"
"Silviuccia perchè non ci pensi bene? (Forza esci queste chiavi prima che ti strangolo!!)"

"No No Mammina! Giuro su tutti i miei Miny Pony e sulle Micro Machines che non lo so dove sono!"
"Dai Silvietta concentrati, lo sai che la Nonnina per trovargliele ha messo a soqquadro tutta la casa, poi è tornata in tutti i posti dove era stata: macelleria, supermercato, parrucchiere, pescheria...è da una settimana che le cerca! Poveretta sta impazzendo!"
"Va bene mammina, FORSE, se ci penso bene bene, lo so dove sono le chiavi"
A quel punto presi la mano di mia madre e la condussi nel sottoscala, le indicai un vecchio baule di legno e glielo feci aprire, poi indicai un vecchio pattino che vi era conservato e glielo feci prendere. Dentro il pattino, avvolte dentro una busta di plastica, c'erano le chiavi del nonno, da me sapientemente nascoste, con la stessa identica cura con cui un serial killer occulta i resti di un cadavere fatto a pezzi.
Avevo quattro anni, l'aspetto più angelico che una bambina potesse avere, ed ero profondamente diabolica.

Nonnino non soleva chiamarmi Candy, né Bertuccia, come facevano gli altri scherzosamente, per lui ero "Quella là" oppure ero "A Menti" (la mente) colei che tutto architetta, colei che trama contro di lui, colei che lo spinge a firmare il patto con l'ictus.
Il demonio, insomma.
Si perché ora voi lo dovete sapere che mio nonno ha la pressione sempre alta, come l’Everest!
Nonnino, appena vedeva che accennavi a qualsivoglia tipo di movimento, t’apostrofava con questa frase:
“Smettila che mi fai salire la pressione!”
 Era il tormentone della mia infanzia, rimbombava nella mia testa peggio di canzoni tipo “Dammi tre parole Sole, Cuore, Amore”.
Tutto gli faceva salire la pressione, tranne l’immobilità. Ma quella è propria degli oggetti, certo non dei bambini.

Le nostre interazioni erano tutte così:
“SiBBia (la L e la V non le pronuncia mai nel chiamarmi, tutt’ora) scendi dall’albero che mi sale la pressione”
“NO”
“SiBBia vai piano con quei pattini che mi sale la pressione”
“No”
“SiBBia che ci fai arrampicata sul traliccio dell’uva? Vieni giù che mi sale la pressione”
“No”
“SiBBia smettila di impennare con la bici che mi sale la pressione”
“No”
“SiBBia non correre che mi sale la pressione”
“No”
“SiBBia non respirare che mi sale la pressione”
“No, non voglio morire!”
Io, che ero solo una bambina (giustoAppenaUnPo’vivaceMaGiuroSoloUnPo’) con la passione scimmiesca per le arrampicate, non lo sapevo mica cosa fosse la pressione e credevo che se ci fosse qualcosa che saliva così tanto in alto avrei dovuto trovarla a tutti i costi ed arrampicarmici.
Fu una vera tragedia scoprire che l’arrampicata sul sangue pulsante non era cosa fattibile.

Nonnino ovviamente non si limitava solo ai rimproveri, dopo di quelli, e dopo essersi vittimizzato senza esito perché la sottoscritta, in quanto figlia di Satana, se ne fregava della sua pressione, tirava fuori l’artiglieria pesante.
I suoi metodi educativi ottocenteschi avevano qualcosa di drammatico e insieme esilarante.
Per farti smettere di fare quello che stavi facendo soleva legarti le mani al cancello d’ingresso di casa. Il mondo da ammanettata assumeva tutta una nuova prospettiva. L’impossibilità d’usare le mani portava alla rivalutazione di altre parti del corpo fino ad allora ingiustamente sottovalutate.
Io me ne stavo immobile ad aspettare che lui quel dannato cancello lo aprisse. Ero come colui che si siede sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere del nemico. Appena Nonnino si metteva in macchina e spalancava il cancello i miei piedi si avvicinavano minacciosamente alle aiuole che lui curava con tanto amore.
Tempo che lui faceva la manovra e io avevo decapitato tutti i suoi adorati fiori. Tutti.
Soddisfazioni.

Il nostro rapporto fu per anni improntato alla logica del “Chi la fa l’aspetti”.

“SiBBia dove sono le mie stecche di sigarette?”
“Nella cisterna Nonnino!” (ghigno satanico)

“Nonnino perché hai messo il filo spinato tutto intorno al traliccio dell’uva?”
“Così non ti ci arrampichi” (ghigno malefico)
“Nonnino il filo spinato non c’è più, l’ho tolto tutto!”
“L’hai tolto? Non è possibile, l’ho attaccato stretto stretto, con la pinza.” (ghigno malefico)
“Si si e io l’ho tolto, con le mani” (ghigno satanico).
“Grazia, tua figlia, Quella Là, ha tolto il filo spinato con le mani, come ha fatto? Come? Come?”
Seguiva un  buon quarto d’ora in cui Nonnino si dimenava su e giù per casa inveendo contro di me e chiedendosi come fanno dieci minuscole dita ad averla vinta sulla morsa di una pinza.

“SiBBia dove sono le mie scarpe?”
“Nel ripostiglio Nonnino (attaccate col mastice al pavimento)”
Nonnino andò nel ripostiglio, trovò le scarpe proprio dove le aveva lasciate, davanti allo sgabello dove si sedeva per indossarle. Non si accorse che la nipote demoniaca aveva celebrato il matrimonio tra la suola e il pavimento e le aveva indissolubilmente legate con la colla. Le calzò, poi fece per avanzare il primo passo. I suoi piedi rimasero incollati, lui perse l’equilibrio e sbattè la testa con la mensola che gli stava di fronte così forte ma così forte che pensai d’averlo stordito per il resto dei suoi giorni e che non m’avrebbe mai più dato fastidio.
“Grazia, tua figlia, A Menti, ha attaccato le mie scarpe con la colla, guarda cosa mi sono fatto alla testa! Prendi l’alcol!!!”

Sembrava che l’avessi sempre vinta io. Sembrava.
Perché la vendetta è un piatto che va servito freddo. Lo sanno tutti.
E così in un caldo pomeriggio d’agosto  in cui avevo la febbre così alta che forse qualcuno che stava  molto in alto mi aveva voluta punire per le mie diavolerie, Nonnino si presentò al mio capezzale con una scatola di cartone con dentro un adorabile pulcino giallo.
Pensai che io e Nonnino potevamo finalmente firmare un armistizio di pace.
Pulcino Giallo divenne il mio compagno di giochi prediletto per tutta la durata della febbre, e anche dopo. Quando cominciò ad assumere le sembianze di una giovane e ruspante gallinella Nonnino la trasferì  nel pollaio. Io andavo a farle visita tutti i giorni e le portavo il mangime.
Quella beccava felice dalla mia mano e ringraziava con uno stridente coccodè!
Un bel giorno sentii dalla mia stanza un grido sofferto e soffocato.
Mi vestii e mi precipitai giù dalle scale, aprii la porta e mi trovai di fronte alla scena più raccapricciante a cui io abbia mai assistito in tutta la mia vita.
Gallinella Ruspante, ex Pulcino Giallo, se ne stava appesa a un albero per le zampe, legata con dello spago e il collo si allungava quasi fino a toccare terra. S’era allungato così tanto che pensai fosse figlia d’una gallina e d’una giraffa.
Nonnino le aveva tirato il collo.
“Oggi a pranzo pollo” disse.
Ed il ghigno era più malefico del solito.

Nonnino, noi non avevamo bisogno di un pollo per pranzo.
Avevamo bisogno d’un esorcismo.
E Regan insegna che è meglio essere a stomaco vuoto.
Ma mio nonno, è evidente, “L’Esorcista” non se l’era mai visto.

4 commenti:

  1. Anche io facevo gli scherzi ai miei nonni...poi ho smesso quando li ho beccati che amoreggiavano nel letto! Sono ancora traumatizzato! :-O

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  2. Ahahahahah mi ero dimenticata di quanto fossero divertenti i racconti della tua infanzia, ma davvero hai attaccato con la colla le scarpe di tuo nonno? Che scenetta esilarante deve essere stata!!! Un po' meno quella della gallina appesa, poveretta!
    Comunque grazie per queste sane risate che mi hai regalato!

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  3. Penso che il nonno, nella sua ingenuità, non abbia ipotizzato che ci si potesse affezionare ad un pulcino giallo, magari lo considerava una specie di giocattolo, di quelli a cui i bambini staccano la testa per gioco (bambini sadici, a dirla tutta, e tu non eri sadica, solo satanica). Quindi non penso che abbia compreso che con quell'azione avrebbe traumatizzato la vita di sua nipote, che ancora a ventisette anni si ricoda così bene quella scena da film horror. Che poi la pressione, si sa, è una scusa bella e buona, i Primavera, è dimostrato, campano il doppio di un essere umano normale.
    Ti ho compensato sorella, io ero "u figghiu bbonu", a me Nonnino dava solo il pane con le olive e non mi legava al cancello. Che ci vuoi fare, ad ognuno il suo!
    E dai che in fondo ti vuole bene!
    Bacio.

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  4. @ U Figghiu Bbonu: beh si, mi vuole bene. Del resto ognuno ha i suoi modi per dimostrarlo. Mica vogliamo fargli un processo. Certo che Pulcino Giallo da lassù non sarebbe contrario al suo processo e nemmeno ad una sua condanna. Ma Pulcino Giallo non aveva voce in capitolo allora, figuriamoci adesso che ci osserva dal paradiso degli animali. Quasi quasi fondo un comitato per la difesa dei pulcini gialli. Ah Fratello, il nonno ti dava il pane con le olive. Sicuro che fosse una gentilezza? Lo sanno tutti che le olive in grandi quantità fanno male. E lui te ne donava a profusione. Io, fossi in te, rivedrei un attimo la tua posizione. ;-)
    Bacetto.

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