venerdì 19 marzo 2010

Di malinconia virtù.

Catania 17 Marzo 2010

A Migliore Amica, che ha sempre avuto voce per intonare insieme a me una canzone sul davanzale della finestra della mia casa di Enna, mentre il freddo di quella città a volte rimaneva all’esterno e altre volte si prendeva tutto di noi tranne le nostre temerarie e stridenti corde vocali.

Sono stati anni di freddo. Freddo che gelava le strade e ne rendeva il manto luccicante. Gelo che congelava i pensieri, quelli che ti assalgono prima che il sonno ti renda inerme.
Il sonno: quella cosa sconosciuta che si insinua tra la testa e il cuscino e si prende tutti i muscoli e regala la stasi. Quella cosa che annienta i sensi e intorpidisce. Quella cosa che dona i sogni. Quella cosa che logora con gli incubi. Quella cosa ambivalente che sembra che ti uccida, immobile come ti lascia, e invece ti rigenera e qualcuno ammette pure che porti chissà quale consiglio.
Sono stati anni freddi.
Anni che il freddo ti entrava nelle ossa e non lo sentivi più.
E te ne potevi stare seduta su un cornicione con Migliore Amica a cantare a squarciagola che there’s a little black spot on the sun today e che è la stessa piccola macchia nera che c’era il giorno prima.
E c’erano un sacco di macchie che pensavamo fossero nere e alcune non erano nemmeno macchie e non lo sapevamo.
E poi ce n’erano alcune che erano macchie enormi, che sarebbero diventate voragini e si sarebbero prese sorrisi e dato in cambio solo lacrime. E non l’avevo realizzato se non prima di quel momento in cui il telefono aveva squillato ed era tardi, non so quanto, ma c’era uno strano buio fuori che scivolava anche dentro e come una coltre di duro cemento copriva tutto. E ricordo di una voce, non ricordo di chi fosse, a dire “non c’è più” e tutto quello che successe da quell'istante a quando arrivai a casa di Migliore Amica e l’abbracciai al centro del soggiorno non me lo ricordo. Quasi come se ogni movimento tendesse a quell’abbraccio e fosse insignificante come a quell’abbraccio ci fossi giunta, l’importante e che le braccia riuscissero a fare il loro dovere.
C’erano tost con sopra chilogrammi di nutella che sporcava le dita e le pagine dei libri su cui si studiava. E c’era Alanis di sottofondo che cantava sempre, cantava troppo, che avremmo anche potuto ascoltare altro ogni tanto e la nostra cultura musicale ci sarebbe stata grata ma, certo, la colonna sonora degli anni di freddo ne avrebbe risentito.
C’erano persone che avevamo messo dentro le nostre vite a presidiarne l’umore e credevamo che le avremmo tirate fuori in un instante, se solo lo avessimo voluto. E quelle avevano assediato la mente, il cuore e il corpo come le truppe fanno con le città in guerra. Ed il momento in cui l’avevamo realizzato che non avevamo nessun potere su di loro era il momento del crollo del sentimento di onnipotenza e quel crollo ci aveva reso piccole e incapaci.
C’era una Centosei che aveva percorso le strade della Sicilia con la presunzione di un Suv e s’era ammaccata più volte e sembrava che avesse sempre la forza di risorgere dalle sue ceneri.
Centosei la sera amava fare un tragitto conosciuto, sembrava che lo facesse da sola e che io e Migliore Amica per farla camminare avremmo solo dovuto cantare. E Centosei non se la prendeva se la mia voce stonata copriva quella di Migliore Amica seppure, è chiaro, avrebbe preferito che cantasse solo Migliore Amica.
C’era una canzone che cantavamo spesso e, se anche lo sapevamo che il titolo era “Nuotando nell’aria”, la chiamavamo “Pelle” solo perché nella prima strofa recitava “Pelle, è la tua proprio quella che mi manca”. E c’era sempre la pelle di qualcuno che mancava.

Ci sono certi giorni che ti prende un po’così. Ti prende male.
E vorresti fare di malinconia virtù e non ce la fai.
Io non l’ho mai capito perché un giorno come tanti apri gli occhi, metti a terra il piede sbagliato (verosimilmente il destro) e la giornata è una giornata no.
E non è che sei incazzato.
No. Sei “solo” malinconico.
Così, senza motivo. Che quasi vorresti parlarci con Lady Malinconia e chiederle il motivo della sua ignobile visita, che quella viene armata di vernice nera e pennello e si mette a dipingere sul tuo umore, neanche fosse il più geniale dei pittori, e, non solo non ti chiede il permesso d’entrare, ma si mette pure comoda.
“Scusa Malinconia chi te l’ha detto che potevi entrare?”
“Pardon Malinconia perché mi hai portato la carpetta dei ricordi degli anni di freddo? Non lo vedi che fuori c’è il sole? Che la primavera è alle porte?”

E sono passate tante primavere da quella in cui io e Migliore Amica ci siamo sedute per la prima volta a parlare sulle scale dell’Università.
E su quelle scale ci siamo poi sedute innumerevoli volte, con i quaderni in mano per ripetere la materia che “l’esame è domani e non so niente”.
Ci siamo sedute con un caffè in mano da dividere perché “non ho abbastanza monetine per la macchinetta” e un caffè condiviso aiuta come nient’altro a condividere anche un racconto di sé.
Ci siamo sedute senza niente in mano e senza niente da dire, che tanto tutto ciò che c’era da dire stava dentro a un malinconico silenzio. E di quella malinconia avevamo fatto virtù.
Perché quella non ci aveva divise.
Perché nell’imparare a condividerla avevamo imparato l’amicizia.
Avevamo imparato che anche nel sentirsi soli si può essere insieme.
Herman Hesse scriveva che “il lato diabolico della malinconia è quello non solo di far ammalare le sue vittime, ma anche di renderle presuntuose e miopi, addirittura quasi superbe. Si crede d’essere come Atlante che da solo deve reggere sulle proprie spalle tutti i dolori e gli enigmi del mondo, come se mille altri non sopportassero gli stessi dolori e non vagassero nello stesso labirinto”.

Ci sono certi giorni che ti prende un po’così: ci vorrebbero Migliore Amica, Scale dell’Università e Bicchiere Marrone Col Caffè per non sentirsi Atlante, cosicché Malinconia ci penserebbe ben due volte prima di fare l’invasione di casa armata di pennello, vernice e carpetta dei ricordi. Che a Lady Malinconia non piace essere annientata in un silenzio, che lei è diabolica, così come ce l’ha descritta Hesse, e di perire nell’abbraccio della condivisione proprio non ne vuol sapere.

 “We need reflection, we need a really good memory. Feel free to call me a little more often”,
canterebbe Alanis, adesso. E canticchio io pensando a Migliore Amica.
E so che se avessimo ancora quel davanzale, di certo, la canteremmo insieme.

5 commenti:

  1. Come sempre, colpisci al cuore,e " migliore amica" è proprio fortunata ad avere questa amicizia, e spero che continuerete sempre a cantare insieme le vostre canzoni.
    P.s: un pensiero speciale anche per la guest star di questo post " centosei" sono contenta che ha ascoltato anche le vostre chiacchiere

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  2. quel davanzale.....i toast...."Pelle".....abbiamo i ricordi che ci tendono la mano quando ogni certezza sembra vana...e in quel ricordo di noi conservo e tengo stretta la nostra amicizia...Migliore Amica....la malinconia ha bussato alle nostre porte....si è insinuata in noi credendo di essere la benvenuta...ma il pensiero ritorna in quelle giornate fredde....in quel davanzale, in cui abbiamo riposto sogni, speranze, delusioni...
    la colonna sonora di noi....Noi...che insieme siamo state imbattibili...Noi che abbiamo affrontato dolori più grandi di noi stesse...
    Noi che abbiamo gioito...riso...scherzato..litigato...Noi che nonostante la signora Distanza, siamo ancora qui...e lo saremo per tanto tempo ancora....
    Lady Malinconia...Signora Distanza....mi dispiace...ma nelle nostre vite non c'è spazio per voi...il nostro bene va al di là di ogni umana comprensione...è più forte di qualsiasi tempesta....
    Noi che in una tiepida mattina di marzo ci siamo incontrate davanti quella macchinetta del caffè, che monetine ce ne ha rubate....Noi che abbiamo capito sin da subito chi avevamo davanti...Noi che ci siamo prese per mano quando il tutto veniva terribilmente colorato di nero....quando io correvo lungo un corridoio e Migliore Amica correva con me dall'altro lato del corridoio....senza distogliere il suo sguardo dal mio, perso e immerso nel vuoto di un silenzio logorante....
    Noi che abbiamo indossato gli abiti di diverse professioni, improvvisando e riuscendo sempre nei nostri ruoli.Ora impresa di pulizie...Ora detective....
    Noi che non abbiamo mai finto e che non abbiamo mai indossato i panni di un'amicizia che sarebbe svanita nell'aria come bolle di sapone...
    NO!
    quello mai.... Siamo l'amicizia...siamo la comprensione e il compromesso...Siamo quel bene incondizionato, che resiste a tutto...perchè un pò come l'amico di Rambo...MI PIEGO MA NON MI SPEZZO....abbiamo incontrato salite...curve...tempeste...bufere...ma sempre è ritornato il sole...
    e ricorda Migliore Amica:
    ALLA FINE SEMPRE NOI DUE!!!

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  3. Io posso diventare "a Migliore amico del nord?"
    Un bacio

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  4. Fratello in Ritardo22 marzo 2010 alle ore 21:49

    Come insegna Hesse, bisogna capire di non essere soli in questo labirinto per scacciare la malinconia. E spesso si è così concentrati a cercar l'uscita, o a perdersi nei mille vicoli ciechi del proprio abisso personale, che non ci si accorge di non essere i soli ad aver conosciuto l'orrore.
    Le amicizie vere nascono per caso ma non durano per caso, e il fatto che tu sia qui a scrivere di Migliore Amica, e che lei sia qui e scrivere con te, come quando cantavate insieme sulle stesse note, è già una sconfitta per Lady Malinconia, che tutto può logorare tranne i ricordi di un'amicizia vera.
    Un bacione ad entrambe!

    Chiedo venia per il ritardo, so che mi perdonerai sorellina!

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  5. E cos'è l'amicizia se non condividere tutto, persino la malinconia?
    E' una cosa stupenda l'amicizia che lega te e Migliore Amica.
    E' toccante il modo in cui la racconti.
    Tu parli al cuore. Ma proprio dritta dritta al cuore, ha ragione Carmela. Brava Candy, sempre più brava.

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